Firenze, primavera del 1995. Un gruppo di amici, più immaturi che malvagi, appena possono si ritrovano alla panchina di un giardinetto per scherzare e prendere in giro i matti del vicino Manicomio quando questi vengono lasciati uscire.
Lo Zecca, irriverente e maligno; Duccio, bambinone sempre allegro, sopra la faccia di fidanzato dolce e comprensivo indossa con sorprendente disinvoltura la maschera di mascalzone quando si tratta di burlarsi dei tre matti; Donatello, pettegolo e impiccione; Pennello sempre pronto ad assecondare le idee dei compagni, poi ancora l’avido ortolano con la moglie, bravo nelle rime ma confusionario nei proverbi. Ed infine Chiara, delusa dal rapporto con la madre, di gran lunga la più riflessiva e matura di tutta la compagnia cerca invano di portare i ragazzi ad una riflessione che ponga i matti sotto una luce umana e non come fonte di divertimento.
La commedia è scanzonata e irrispettosa nell’osservare gli scherzi di cui sono vittime i tre pover’uomini, ognuno con caratteristiche diverse, ma alla fine i quattro amici capiranno che dentro tutte le persone pulsa un cuore che genera emozioni. Ma non sarà la saggia ragazza a farglielo capire…
“La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragione d’essere.”
Franco Basaglia