Personaggi a tutto tondo sono quelli che colorano i racconti di viaggio “crespiani”. Personaggi che ricercano continuamente qualche cosa che va aldilà della loro comprensione. Personaggi in bilico, sullo sfondo di un’America libertina, tutta spazi sconfinati e rettilinei dove è impossibile dare tregua all’acceleratore. In un ambiente così desolante e al contempo così perfetto per quanti non hanno meta, lo scrittore disegna i suoi personaggi che ubriachi, intontiti, ebbri del loro dolore quanto dai boccali di birra tracannati o dall’immancabile vino “Made in Italy”, paiono svanire. Salvo poi ritrovarli in un paesaggio che improvvisamente riempie i loro occhi ancora velati dall’alcool, e così anche l’animo si scrolla di dosso per un attimo il dolore, si ristora di un calore immenso, di quell’appiglio per cui, in fondo, vale sempre la pena vivere, vale la pena esserci, vale la pena godere anche della più piccola delle cose…
…L’ambientazione è quella di un’America impersonale e restia a cedere il suo aspetto selvaggio al passaggio dei colonizzatori come a quello dei viandanti malconci, tutti irrimediabilmente toccati dagli spazi immensi. Nelle metropoli del nord si concentra, invece, l’essenza dell’operosità umana, per certi aspetti anch’essa straordinariamente affascinante.
Persino la contemporaneità dei racconti è caratterizzata dal vuoto incolmabile dei personaggi dei racconti, che in sé e attraverso il loro pensiero, ne delineano distintamente ogni squarcio. Gli innumerevoli cedimenti del viandante italiano, in collera con sé e con l’umanità, si esibiscono poi in tutta la loro alterigia in gesti di violenza inaudita, i quali non trovano spiegazione alcuna, nemmeno quando etichettati dalla cronaca dei quotidiani col felice termine raptus. Parola che indica da un lato un atto improvviso e violento di un malato ma dall’altro sta anche a significare il rapimento nel culmine dell’ispirazione poetica. L’episodio, anche quello di sangue, se inquadrato allora in una prospettiva a 360°, sembra più il frutto di un’ascesi mistica che non un atto di violenza fine a se stesso.
dalla prefazione di Angela Dussin
De “La tribuna di Treviso”