Se è vero che la poesia è quanto di più lontano ci sia dai processi di omologazione tipici della nostra società, e quanto di più refrattario alle logiche del mercato (assai raramente un poeta può sostentarsi con la poesia), questo non significa però che essa debba ridursi a mera sperimentazione linguistica ed il poeta a puro giocoliere della parola.
Io credo in una poesia attenta alla dimensione “sociale”, ai temi civili. Il poeta deve saper cogliere le trasformazioni sociali e farsi carico di un conseguente impegno etico.
Fatti e sensazioni della vita vanno poi tradotti in parole comprensibili non solo ad una elite, attraverso uno stile per lo più sobrio e limpido, che pur non facendo uso necessariamente di metrica e di rima, non rinunci alla musicalità della parola e del verso, affinché il pensiero dell’autore – così veicolato – possa più agevolmente giungere al cuore e alla mente del lettore.
Personalmente di rado mi lascio andare ad una visione disincantata e ironica dell’esistenza.
Più spesso mi colpisce la condizione dell’uomo contemporaneo, la sua sostanziale solitudine e incomunicabilità, il suo disorientamento di fronte ai grandi “nodi” dell’esistenza, cui spesso egli reagisce con un modo di essere superbo e presuntuoso.
Accanto ai temi più “universali” e per certi versi tradizionali, quali l’umano dolore, la fatica del vivere e la morte non manca nella mia poesia un certo anelito di “trascendenza” o quantomeno un sentimento di “speranza”, che passa attraverso il recupero di un rapporto con la Natura, con la sua essenziale Verità, fino a riconoscere nell’Amore per le persone care e soprattutto nell’Amore per l’Umanità, che si fa Solidarietà, Fratenità, impegno per la Pace l’unica autentica via che ci possa condurre ad una illusione di Felicità.
B.