Erano le undici di sera e faceva freddo. L’ultimo brano che avevamo provato era stata una languida e trascinante “Ave Maria” di Villa-Lobos. Anche noi ne eravamo illanguidite, Paola, Silvia, Giovanna, soprano, soprano, contralto. Ora, dopo aver salutato il Maestro e i colleghi di coro, ci stavamo avviando all’auto di Paola che avrebbe riaccompagnato me e Silvia a casa. “Però”, aveva sospirato Paola fermatasi vicino allo sportello senza aprirlo, “non sarebbe bello se, arrivate a casa, trovassimo qualcuno che ci coccolasse? Intendo dire, qualcuno proprio in grado di farle per bene, le coccole”. “Che sciocchezza” aveva ribattuto Silvia rabbrividendo leggermente, la mano avvinghiata alla maniglia della portiera ancora chiusa, “chiunque è in grado di fare le coccole, è qualcosa di istintivo in tutti noi. Apri la macchina, per favore”. “Questo sarà anche vero”, aveva continuato Paola vaga e imperturbabile, “ma, vedi, se le cose non le pratichi, è come se non le sapessi fare, il risultato è lo stesso. Hai in mente qualcuno di tua conoscenza che sia un bravo coccolatore?”. “No”, aveva risposto Silvia battendo i piedi e avvolgendosi meglio nella sua sciarpona turchese, “e allora tu che proponi?”. “Propongo, che so, una scuola, una specializzazione, un master. Anzi no, propongo che si sottragga un’ora alla didattica settimanale delle scuole medie per inserire la materia Coccole”, intanto finalmente la sua mano si era avvicinata alla serratura dello sportello, “direi che si potrebbe sottrarre all’orario di matematica o di scienze”. “Che cosa?”, ero saltata su io, “tu devi essere fuori di testa, la matematica e le scienze sono il perno della nostra civiltà, e lo dici tu, che sei per giunta un medico, in mia presenza?”. “Giovanna, reagisci così perché probabilmente anche tu hai dimenticato il piacere di far scorrere il tempo con le parole tenere, le carezze, gli abbracci. È inutile illudersi, la scienza sta diventando solo una fredda sezionatrice di fenomeni”. A quel punto stavo per rispondere, volevo dire che io riempio di carezze i miei due cani, ma intanto Paola, ormai ammutolita, aveva aperto lo sportello, si era infilata al posto di guida e aveva acceso il motore. Un’ultima sensazione di freddo, un’occhiata tra me e Silvia. Poi ci siamo infilate in macchina anche noi. E chissà perché, a partire da quella sera delle coccole non si è più parlato. Ma io ho continuato a pensarci.