Questa silloge nasce come un “ramo” della produzione poetica dell’Autore; durante la scrittura di opere precedenti Egli si è soffermato a osservare, come da spettatore esterno, se stesso nell’atto dello scrivere; vengono, dunque, esaminati e messi a nudo il lavoro di “creazione” di un nuovo componimento, i dubbi e le difficoltà che l’Autore incontra nell’esercitare questo (assai particolare) mestiere. Di qui, perciò, la prima parte dell’Opera dedicata, appunto, al mestiere di poeta in quanto tale, tra difficoltà di ispirazione e problemi economici.
In una seconda parte, dall’amore per le poesie composte, l’Autore viene spinto a immaginare queste liriche come creature dalle caratteristiche “umane”; le poesie vengono “personificate” e descritte con vari registri tra i quali predomina il tono umoristico, dando a ciascuna degli attributi (distratta, bislacca, teatrale ecc..), in un gioco solo in apparenza banale, ma che a una lettura più approfondita ci accosta al segreto celato dietro queste poesie così distratte.
La silloge si conclude con due poesie “finali” e con la constatazione molto dolorosa e decisamente pessimista da parte dell’Autore che “la crisi ammazza tutto!”