Nella silloge di Filippo Inferrera, “Io abito il tempo”, la funzione lirica assume toni di sapiente narrazione e, nella propensione riflessiva del discorso poetico, prevale la maturità della sua voce recitante che sa fondere canto e recupero memoriale in uno spessore unico dal carattere lirico ed evocativo.
Il giacimento delle evidenze esistenziali emergerà compiutamente e diventerà l’atto salvifico del sistema poetico completamente dominato dall’animus del poeta creatore che sta compiendo il percorso di scoperta…
…Ecco allora che, nella trama del suo “diario d’amore”, “l’amica poesia” trova posto “dentro una corona di stelle”, con la sua forza capace di generare alchimie, con i suoi “percorsi di parole e silenzi”, “tra sacrifici e magiche aurore” che hanno costellato il cammino, invadendo ogni spazio della memoria.
Le stagioni dell’anima diventano la necessità vitale di rimembrare quella memoria “in un carosello di luci ed ombre”: il tempo della fantasia e della speranza, l’impeto lirico a “resistere”.
Nella filigrana del Tempo Filippo Inferrera ricerca il prodigio, perché lui “non ha mai perso l’incanto”, sempre alimentando il suo universo d’emozioni e profonde riflessioni dentro le pagine di un diario che incarna la vibrante prosa lirica dove fluiscono i ricordi, tra “scenari di solitudine” e la ricerca costante del “senso da dare alle parole”: ecco la vita vissuta sulla “pelle da naufrago”, il seme vitale che s’innalza a preghiera per “cogliere il soffio eterno della poesia”.
dalla prefazione di Massimo Barile