Nella silloge poetica di Luisa Foddai emerge chiaramente la sua profonda passione per la poesia, unica ispiratrice che offre il vero incanto e, grazie alla sua forza vitale, permette di cantare lo stupore, l’impulso primigenio, ciò che strugge l’anima.
Nell’incedere del tempo, quasi a volar sopra ogni affanno e tormento terreno, la poetessa si lascia trasportare come un vascello “in mezzo all’oceano della vita”, tra forti venti e tempeste emozionali, cesellando i versi della sua poesia, illuminando “arabeschi di parole” che cantano la vita stessa e, infine, raccogliendo pensieri nel “cantico del mattino”, con la volontà di distillare le impressioni che segnano il cuore d’una donna mentre percorre il travagliato cammino d’ogni essere umano…
…È nelle atmosfere silenti che misteriosamente si generano, nel disincanto che preme su di lei, in una oscillazione tra reale e sublime, che Luisa Foddai diventa testimone della commedia della vita: il flusso lirico s’imbeve della vertigine immane che essa provoca, in un vortice generante parole nuove ed il canto tende al candore d’una visione lirica che riscopre la memoria, lavata dalle ombre negative per illuminare il senso autentico della vita.
Lei è un’“anima in viaggio” e la sua percezione della poesia “come dolce / e salvifica/condanna” diventa “sacro fuoco” che divampa, illumina e consuma, in un continuo “perdersi e ritrovarsi”.
La luce della poesia penetra nel profondo del suo essere ed è allora che, tra le mani, “si plasmano libellule”, quando l’assoluto lirismo del canto di “un’anima vagante” possiede la sublime alchimia e custodisce il “fiore bianco” della poesia.
dalla prefazione di Massimo Barile