Il panorama artistico francese degli anni Trenta è dominato da una sequela di tendenze che giocano tra la forma, il colore, e la trascendenza delle geometrie pure. Questa è la nota dominante nel contesto parigino, ma allontanandoci dalla metropoli si possono scorgere artisti che meritano attenzione e riconoscimento per la loro individualità artistica, per la loro solitaria ma proficua ricerca di un Sé che difficilmente può essere categorizzato negli anacronistici termini della ricerca storico-artistica tradizionale.
Una figura ingiustamente sconosciuta, in modo particolare in Italia, è quella del pittore bretone Pierre Jacob “Tal Coat”, che fa parte di quei movimenti silenziosi e sotterranei della storia dell’arte che devono essere raccontanti, non tanto dalle storiografiche schematizzazioni interpretative, ma dalla sensibilità artistica dei filosofi e dei poeti.
Una figura quella di Pierre Jacob alquanto poliedrica: pittore, scultore e poeta, che sempre ha mantenuto un’individualità in continua metamorfosi, e che forse per questo suo anamorfismo ben poco si presta ad una trattazione lineare. Saranno le sue stesse opere, il suo componimento poetico, la lettura del filosofo Henri Maldiney e la poetica di André du Bouchet a raccontare l’uomo e l’artista nel modo più esplicito possibile a cui si può ricorrere per parlare di arte, o meglio, del mistero della sua arte, tanto umana quanto antica come la cultura bretone di cui è permeata, e tanto rarefatta ed evanescente quanto i suoi gesti grafici, rapsodici e incisivi.
Ma incominciamo a tracciare la storia dell’uomo creatore e vedremo in lui l’artista.